mercoledì 27 febbraio 2013

“Fashion. Un secolo di straordinarie fotografie di moda dagli archivi Condé Nast” – (Fondazione Forma per la Fotografia) Milano 10 febbraio 2013






“Dobbiamo fare di Vogue un Louvre” disse Edward Steichen, uno dei primi grandissimi fotografi di Vogue, alla caporedattrice di Vogue America, Edna Woodman Chase negli anni 20’.
Alla mostra del Forma ci troviamo di fronte a 200 scatti realizzati fin dai primi numeri di Vogue, dalle successive edizioni internazionali, o nelle numerose riviste delle edizioni Conde Nast in 100 anni di storia: Vogue, Men’s Vogue, Teen Vogue, Lei, Pop, GQ, e tantissime altre dagli archivi di New York, Parigi, Londra, Milano.
La lista dei fotografi è lunghissima: Diane Arbus, Cecil Beaton, Guy Bourdin, Peter Lindbergh, Man Ray, Ugo Mulas, Helmut Newton, Irving Penn, Terry Richardson, Herb Ritts, Paolo Roversi, Franco Rubartelli, Satoshi Saïkusa, Sølve Sundsbø, Mario Testino, Bruce Weber e tanti tanti altri.
Un vorticoso giro attraverso gli anni, i decenni.
Le foto non ci parlano solo di moda, di arte, ma anche del periodo storico, sociale. Gli anni 50’ glamour, i 60’ spensierati, i 70’ impegnati, gli anni 80’ dove il corpo diventa protagonista e le top model diventano star. Le prime foto di Linda Evangelista, Kate Moss, e tutte le più osannate di quel particolare periodo.
L’idea della curatrice Nathalie Herschdorfer, è quella di ripercorrere l’evoluzione della fotografia di moda dalle sue origini sino ad oggi, ricordando non solo i fotografi ma anche chi lavora dietro al set per creare scatti indimenticabili: redattori, modelle, stylist, truccatori e parrucchieri … gli abiti! Le modelle! Partendo da questo presupposto, nelle didascalie delle foto selezionate andavano messi anche i nomi delle persone che avevano contribuito a quelle foto, e nella maggiore di queste non si menzionano i nomi degli stilisti degli abiti, ma solo le modelle.
Forse una mostra non completamente riuscita fin dal titolo: Fashion. Un po’ riduttivo se di arte si tratta. Inoltre: selezionare dagli archivi delle città della moda le foto di oltre 100 anni, di una infinità di fotografi, di tantissime riviste della Conde Nast, francamente un’operazione un po’ temeraria.
Perché non selezionare un periodo delle pubblicazioni Conde Nast? O un decennio (che ne so gli anni 80’) O una rivista specifica?
Alla fine del percorso mi rimane l’amaro in bocca, troppo poco per tanto splendore. Ma soprattutto non vedo l’ora di tornare a casa e prendere in mano i numeri di Vouge, L’uomo Vouge, Vanity e altri che dagli anni 70’ colleziono e sfogliarli consapevole del mio piccolo Louvre casalingo.

venerdì 15 febbraio 2013

TOMÁS SARACENO - On Space Time Foam, (Hangar Bicocca, Milano) 10 febbraio 2013







Negli spazi dell’Hangar Bicocca Tomás Saraceno ha installato una struttura di tre piani sollevata da terra a 24 metri d’altezza. Un lavoro che sfida le paure, le sicurezze, le altezze, e tanto altro … ognuno ha il modo di sperimentarle nel fluttuante organismo sintetico.
La struttura vista da sotto lascia sorpresi. Degli enormi teli di plastica trasparente di 400 metri quadri dove si può camminare, rotolare, interagire. All’apparenza una situazione ludica che in realtà apre a molte percezioni e letture.
I 3 teli sono stati creati da un team multidisciplinare (ed immagino anche un grande sforzo assicurativo), ci sono delle inevitabili regole ben precise per come accedere o per chi non può accedere, tutto questo per garantire l’incolumità dei partecipanti e della struttura.
Chi rimane sotto alla struttura, può assistere alle prodezze ludiche dei partecipanti, il disinibito esibizionismo artistico, osservare il “comportamento” in una situazione decisamente strana. Inizialmente può far sorridere, creare ilarità vedere ruzzolare, capitombolare, le persone che sopra le teste tentano di avanzare a carponi nella plastica. Ma sia per l’altezza e la sensazione di “insicurezza”, può creare un po’ di inquietudine e decidere di lasciare il proprio posto a qualcun altro, ben capendo che non si tratta di un’attrazione di Disneyland.
Per chi partecipa a piccoli gruppi all’esperienza dopo essere entrati, tramite pertugi, corde e scalette per sostenersi, si rende conto della difficoltà, dell’altezza … per chi rimane nel “primo piano” ha una visione ravvicinata con il pavimento sottostante e il proprio senso dell’equilibrio viene messo in difficoltà. Sopra la propria testa ci sono altre persone che tentano di arrampicarsi, di non cadere nella parte più gonfia che crea con la parte sotto una specie di utero artificiale dove abbandonarsi a reconditi istinti prenatali.
Per chi è nei piani superiori, la tela è più morbida, rigonfia, crea delle tasche dove rannicchiarsi, cambia  e si deforma ad ogni movimento. Ma si è anche più vicini al soffitto e dall’alto si ha una visione globale della struttura, del movimento delle altre persone sottostanti.
Un’esperienza spazio temporale. Attraverso la membrana si percepiscono segnali, movimenti, cadute, come in una grande tela di ragno. Una trama di sensazioni, segnali, percezioni da vivere intimamente o in condivisione come un paradigma sociale.