La mostra per i sessant’anni della collezione, traccia un percorso che si snoda per i 4 piani del museo, e percorre un
periodo consistente dell’arte giapponese esponendo alcuni pezzi davvero unici. Solo
la prima sala vale la visita: i favolosi pannelli dipinti di Kawai del 1916, e
Tscuchida del 1918 lasciano senza fiato. Da una parte la natura che irrompe
nella vita dei pescatori, dall’altra la natura che sottolinea la sensualità di
una donna distesa in un affascinante interno giapponese. Altro capolavoro:
Mother and child di Uemura, ipnotizza per la semplicità.
La mostra continua e gli anni passano
arrivando agli 40’, 50’, 60’ dove la natura e il corpo continuano a essere
protagonisti: come i meravigliosi lunghissimi rotoli di pergamena dipinta con
la vita dei contadini, dei pescatori (Yokoyama), o immagini di animali degli
stagni (Omoda), o la sensualità controllata delle donne al bagno di Ogura.
60 anni ben portati, con artisti
stimolanti, anche se troppi rimandi a tendenze occidentali un po’ modaiole, ed
inevitabile inserimenti di grossi nomi europei e americani.
L’ultima parte del percorso è
sicuramente improvvisa ed imprevista. Che segno ha lasciato la guerra,
Hiroshima, nell’arte, nella cultura, nella vita dei giapponesi? … foto,
filmati, riviste, sul prima e il dopo, su come è cambiata la visione del corpo attraverso
le foto raccapriccianti delle conseguenze della bomba atomica. Una inevitabile
dolorosa galleria di immagini che lasciano sgomenti, tra realtà e finzione, tra
ferite e sculture contorte.