venerdì 15 giugno 2012

La Biblioteca del corpo - Ismael Ivo, Teatro Comunale Vicenza (14 giugno 2012)





Mentre gli spettatori si accomodano sulle poltrone, al centro del palcoscenico, un corpo femminile sotto ad uno scheletro, muove le bianche braccia con movimenti lenti (immagine che ricorda la performance di Marina Abramovich Nude with Skeleton” del 2002). Un suono inquietante aumenta di volume (cercando di attirare l’attenzione del numeroso pubblico interessato a ben altro …) finchè tutto si fa buio.
Inizia così La Biblioteca del corpo di Ismael Ivo, dopo la prima alla Biennale Danza di Venezia, lo spettacolo si presenta al pubblico dei teatri.
Dal buio appare un corpo nudo e sullo sfondo delle teche illuminate con all’interno dei corpi che si muovono sempre più velocemente. Come insetti dentro dei vetrini. Più che una biblioteca, un museo di storia naturale.
All’improvviso i vetri esplodono e crollano, i ballerini scendono dalle teche e invadono il palco … davvero notevole a livello visivo e sonoro questa prima parte.
Poi il resto si fa criptico quasi alla noia: una coreografia che incredibilmente copia Pina Bausch e Wayne McGregor.
Un continuo e incessante ritmo (Tambours du bronx) che alla fine diventa ripetitivo e monotono.
Mancano brani più emozionanti e catartici come nei lavori precedenti (brani che una volta terminato il balletto ti rimangono addosso). Sonorità da rito iniziatico, ma per la numerosa compagnia, questo rito non si compie e la sensazione è di un saggio finale di danza.
Troppi ballerini in scena, “troppo balletto”, ci sarebbe voluto un compendio di teatralità più incisivo (per intenderci alla Erendira, il lavoro di Ismael del 2005).
Non tutti all’altezza, ma sicuramente in crescita, i ballerini verso la fine dello spettacolo rischiano di “accalcarsi” nelle complicate coreografie.
Anche lo sforzo visivo verso la fine scarseggia, le teche vuote, le luci, lo spazio diventa cimiteriale, le teche, dei loculi.
L’ambizioso progetto, su carta, parla di Borges, di libri, di Babele e tanto altro, ma tutto questo rimane appena accennato.

mercoledì 6 giugno 2012

QIU SHIHUA - White Field - Hamburger Bahnhof Museum für Gegenwart Berlin, 22 maggio 2012







Il primo approccio con le tele di Qiu Shihua è quasi raggelante, enormi pannelli dipinti di bianco, praticamente tutti uguali …
Ma dopo il primo impatto e una lenta seducente “messa a fuoco” delle opere (minimaliste?), agli occhi di  chi guarda affiorano delicati paesaggi dalle profondità impalpabili. Con un “effetto speciale” incomprensibile, si dipanano allo sguardo immagini prima solo bianche, nebulose.
Il percorso diventa intrigante, curioso, uno sforzo visivo per assaporare visioni “miopi” o sottovalutate per una frettolosa interazione.
I paesaggi della ricerca di Qiu Shihua risultano eleganti, di minuziosa fattura anche se dalle estese campiture.
Paesaggi che sembrano immersi o avvolti dalla nebbia, dove l’occhio cerca dei punti di riferimento per stabilire un “luogo”. Ma l’artista non si avventura in luoghi comuni, ma come dimostra l’approfondimento nell’ultima sala, da una ricerca sui paesaggi della cultura pittorica cinese.
Potrebbe apparire come una esperienza Zen, ma a parer mio, una ricerca che mina le consolidate e rassicuranti visioni paesaggistiche per sguardi che vanno oltre.

sabato 2 giugno 2012

Anthony McCall - Five Minutes of Pure Sculpture, HAMBURGER BAHNHOF - MUSEUM FÜR GEGENWART – BERLIN- 22 maggio 2012





Nella sala principale del museo della ex stazione, resa buia ad hoc con una leggera e impalpabile foschia, Anthony McCall invita gli spettatori a giocare ed interagire con i fasci di luci che dal soffitto proiettano al pavimento delle strane e primitive forme. In movimento lento e in continuo cambiamento.
Le speciali proiezioni a cui McCall lavora da anni, ricordano in qualche modo la proiezione cinematografica, soprattutto per le 4 opere orizzontali, in cui è possibile “entrare”, giocare, farne parte …
Le opere verticali sono di grande effetto nella grande sala, il silenzio, e il fascino inducono ad un senso magico, ad una ricerca che sembra catalizzare gli spettatori, pronti a stendersi sotto i fasci o sedersi all’interno quasi in una ricerca di maggiore feeling con l’opera (o a qualche interpretazione personale, quali capacità calmanti o meditative delle opere stesse … )
La cosa interessante a mio avviso è l’immediata estraniazione dal mondo esterno,  e a livello percettivo, non tanto la luce ma i movimenti delle proiezioni e il buio attorno creano degli effetti molto attraenti ed ipnotici.
Il buio non diventa ostacolo o difficoltà ma immersione, lo spazio si amplifica, e il girovagare tra un’opera e l’altra diventa una passeggiata in un giardino oscuro con sculture di luce sinuose ed intriganti.