Mentre
gli spettatori si accomodano sulle poltrone, al centro del palcoscenico, un
corpo femminile sotto ad uno scheletro, muove le bianche braccia con movimenti
lenti (immagine che ricorda la performance di Marina Abramovich “Nude with Skeleton”
del 2002). Un suono inquietante aumenta di volume (cercando di attirare
l’attenzione del numeroso pubblico interessato a ben altro …) finchè tutto si
fa buio.
Inizia così La Biblioteca del corpo di Ismael Ivo, dopo la prima
alla Biennale Danza di Venezia, lo spettacolo si presenta al pubblico dei
teatri.
Dal buio appare un corpo nudo e sullo sfondo delle teche
illuminate con all’interno dei corpi che si muovono sempre più velocemente.
Come insetti dentro dei vetrini. Più che una biblioteca, un museo di storia
naturale.
All’improvviso i vetri esplodono e crollano, i ballerini
scendono dalle teche e invadono il palco … davvero notevole a livello visivo e
sonoro questa prima parte.
Poi il resto si fa criptico quasi alla noia: una coreografia che
incredibilmente copia Pina Bausch e Wayne McGregor.
Un continuo e incessante ritmo (Tambours du bronx) che alla fine diventa ripetitivo e monotono.
Mancano brani più emozionanti e catartici come nei lavori
precedenti (brani che una volta terminato il balletto ti rimangono addosso). Sonorità
da rito iniziatico, ma per la numerosa compagnia, questo rito non si compie e
la sensazione è di un saggio finale di danza.
Troppi ballerini in scena, “troppo balletto”, ci sarebbe voluto
un compendio di teatralità più incisivo (per intenderci alla Erendira, il
lavoro di Ismael del 2005).
Non tutti all’altezza, ma sicuramente in crescita, i ballerini
verso la fine dello spettacolo rischiano di “accalcarsi” nelle complicate
coreografie.
Anche lo sforzo visivo verso la fine scarseggia, le teche vuote,
le luci, lo spazio diventa cimiteriale, le teche, dei loculi.
L’ambizioso progetto, su carta, parla di Borges, di libri, di
Babele e tanto altro, ma tutto questo rimane appena accennato.